Poesie
UGO FOSCOLO
Non son chi fui: perì di noi gran parte:
Questo che avanza è sol languore e pianto;
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
Del lauro, speme al giovenil mio canto;
Perchè dal dì ch’empia licenza e Marte
Vestivan me del lor sanguineo manto,
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte
L’umana strage arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
A mia fiera ragion chiudon le porte
11Furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
Conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
E so invocare, e non darmi la morte.
Forse perchè della fatal quïete
Tu sei l’immago a me sì cara, vieni,
O Sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre, e lunghe, all’universo meni,
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure, onde meco egli si strugge;
E mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
I SEPOLCRI
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
5Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Nè da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
10Nè più nel cor mi parlerà lo spirto
Delle vergini Muse e dell’Amore,
Unico spirto a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte?
Giuseppe Ungaretti 1888 – 1970
Non gridate più
Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.
TITO LUCREZIO CARO
Fin da bambini infatti erano sempre avvezzi
a vedere prodursi in alternanza la luce e le tenebre,
e dunque non poteva accadere che se ne stupissero,
o che temessero che una notte eterna occupasse
la terra, facendo sparire per sempre la luce del sole.
Più preoccupava piuttosto che spesso le belve
rendevano rischioso il riposo a quegli infelici.
Scacciati da casa, fuggivano i loro rifugi di pietra
all’arrivo di un cinghiale schiumante o di un forte leone
e, per paura, nel cuore della notte cedevano ai crudeli ospiti
il loro giaciglio ricoperto di fronde.
Non più di adesso le generazioni mortali
lasciavano tra i lamenti la dolce luce dell’esistenza.
Più spesso di noi infatti, sorpresi e aggrediti coi denti,
offrivano alle belve cibo vivente
e riempivano di gemiti i boschi, i monti, le selve,
vedendo le proprie viscere vive sepolte in un sepolcro vivo.
E quelli che col corpo mutilo si erano salvati con la fuga,
poi, tenendo le mani tremanti sulle orribili piaghe,
invocavano la morte con voci spaventose, fin quando
li privavano della vita gli atroci spasimi – privi d’aiuto,
e senza sapere che cosa richiedevano le loro ferite.
Ma un solo giorno non mandava a morte migliaia di uomini
raccolti sotto le insegne, né le distese torbide
del mare sbattevano contro gli scogli uomini e navi.
Spesso il mare, invano sconvolto, infuriava a vuoto,
e poi volubilmente deponeva le vuote minacce;
la subdola lusinga delle acque tranquille
non poteva trarre in inganno col sorriso delle onde.
L’arte funesta della navigazione giaceva all’oscuro.
La penuria di cibo portava alla morte le membra
languenti, mentre adesso è l’abbondanza a sommergerle.
Spesso per ignoranza somministravano a se stessi il veleno,
mentre adesso con più attenzione lo somministrano ad altri.
SHAKESPEARE
CESARE
Antonio!
ANTONIO
Cesare?
CESARE
Fammi avere attorno uomini grassi, dalla testa liscia, e che dormono la notte. Quel Cassio ha un aspetto macilento e affamato; pensa troppo. Uomini così sono pericolosi.
ANTONIO
Non lo temere, Cesare, non è pericoloso; è un nobile romano, e ben disposto.
CESARE
Preferirei che fosse grasso! Ma non lo temo.
E però se il mio nome fosse esposto alla paura, non so quale uomo eviterei di più di quello sparuto Cassio. Legge molto, è un grande osservatore, e spia nei segreti delle azioni umane. Non ama il teatro, come te, Antonio; non ascolta musica. Raramente sorride, e sorride in un modo come se sbeffeggiasse se stesso e schernisse il suo spirito per essersi fatto spingere a sorridere di alcunché. Uomini come lui non hanno mai il cuore in pace se vedono uno più grande di loro, e per questo sono pericolosi. Ti dico ciò che è da temere, non già ciò che io temo; perché io sono sempre Cesare. Vienimi qui a destra, perché quest'orecchio è sordo, e dimmi sinceramente cosa pensi di lui.
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3° Citt. Il nobile Bruto è salito. Silenzio!
Bru. Siate pazienti sino alla fine. Romani, compatriotti, e amici! uditemi per la mia causa; e fate silenzio per poter udire: credetemi per il mio onore; ed abbiate rispetto pel mio onore affinché possiate credere: giudicatemi nella vostra saggezza, ed acuite il vostro ingegno affinché meglio possiate giudicare. Se vi è alcuno qui in questa assemblea, alcun caro amico di Cesare, a lui io dico che l’amore di Bruto per Cesare non era minore al suo. Se poi quell’amico domandi perché Bruto si sollevò contro Cesare, questa è la mia risposta: non che io amavo Cesare meno, ma che amavo Roma di più. Preferireste che Cesare fosse vivo, e morire tutti da schiavi, o che Cesare sia morto per vivere tutti da uomini liberi? In quanto Cesare mi amò, io piango per lui; in quanto la fortuna gli arrise, io ne godo; in quanto egli fu coraggioso, io l’onoro; ma in quanto egli fu ambizioso, io l’ho ucciso: vi sono lacrime per il suo amore, gioia per la sua fortuna, onore per il suo coraggio, e morte per la sua ambizione. Chi v’è qui sì abietto che sarebbe pronto ad essere schiavo? Se vi è, che parli; perché lui io ho offeso. Chi vi è qui sì barbaro che non vorrebbe essere romano? Se vi è, che parli; perché lui ho offeso. Chi vi è qui sì vile che non ami la sua patria? Se vi è, che parli; perché lui ho offeso. Aspetto una risposta.
I Citt. Nessuno, Bruto, nessuno.
Bru. Allora nessuno io ho offeso. Non ho fatto di più a Cesare di quello che voi farete a Bruto. Il giudizio della sua morte è registrato in Campidoglio; la sua gloria non è attenuata per ciò in cui fu degno, né i suoi torti esagerati per i quali soffrì la morte.
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1° Citt. Questo Cesare era un tiranno.
3° Citt. Davvero, questo è certo: siamo fortunati che Roma ne sia libera.
2° Citt. Silenzio! Udiamo ciò che Antonio può dire.
Ant. O voi gentili Romani...
I Citt. Silenzio, oh! Udiamolo.
Ant. Amici, Romani, compatriotti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare. Egli fu mio amico, fedele e giusto verso di me: ma Bruto dice che fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Molti prigionieri egli ha riportato a Roma, il prezzo del cui riscatto ha riempito il pubblico tesoro: sembrò questo atto ambizioso in Cesare? Quando i poveri hanno pianto, Cesare ha lacrimato: l’ambizione dovrebbe essere fatta di più rude stoffa; eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e Bruto è uomo d’onore. Tutti vedeste come al Lupercale tre volte gli presentai una corona di re ch’egli tre volte rifiutò: fu questo atto di ambizione? Eppure Bruto dice ch’egli fu ambizioso; e, invero, Bruto è uomo d’onore. Non parlo, no, per smentire ciò che Bruto disse, ma qui io sono per dire ciò che io so. Tutti lo amaste una volta, né senza ragione: qual ragione vi trattiene dunque dal piangerlo? O senno, tu sei fuggito tra gli animali bruti e gli uomini hanno perduto la ragione. Scusatemi; il mio cuore giace là nella bara con Cesare e debbo tacere sinché non ritorni a me.
1° Citt. Mi pare che vi sia molta ragione nelle sue parole.
2° Citt. Se tu consideri bene la cosa, a Cesare è stato fatto gran torto.
3° Citt. Vi sembra, signori? Temo che uno peggiore di lui verrà al suo posto.
4° Citt. Avete notato le sue parole? Non volle accettare la corona: è quindi certo che non era ambizioso.
1° Citt. Se si troverà che è così qualcuno la pagherà ben cara.
2° Citt. Pover uomo! I suoi occhi sono rossi come il fuoco dal piangere.
3° Citt. Non v’è uomo a Roma più nobile di Antonio.
4° Citt. Ora, osservatelo, ricomincia a parlare.
Ant. Pur ieri la parola di Cesare avrebbe potuto opporsi al mondo intero: ora egli giace là, e non v’è alcuno, per quanto basso, che gli renda onore. O signori, se io fossi disposto ad eccitarvi il cuore e la mente alla ribellione ed al furore, farei un torto a Bruto e un torto a Cassio, i quali, lo sapete tutti, sono uomini d’onore: e non voglio far loro torto: preferisco piuttosto far torto al defunto, far torto a me stesso e a voi, che far torto a sì onorata gente. Ma qui è una pergamena col sigillo di Cesare – l’ho trovata nel suo studio – è il suo testamento: che i popolani odano soltanto questo testamento, che, perdonatemi, io non intendo di leggere, e andrebbero a baciar le ferite del morto Cesare, ed immergerebbero i loro lini nel sacro sangue di lui; anzi, chiederebbero un capello per ricordo, e morendo, ne farebbero menzione nel loro testamento, lasciandolo, ricco legato, alla prole.
1° Citt. Vogliamo udire il testamento: leggetelo, Marc’Antonio.
I Citt. Il testamento, il testamento! Vogliamo udire il testamento di Cesare.
Ant. Pazienza, gentili amici, non debbo leggerlo; non è bene che voi sappiate quanto Cesare vi amò. Non siete di legno, non siete di pietra, ma uomini, e essendo uomini, e udendo il testamento di Cesare, esso v’infiammerebbe, vi farebbe impazzire: è bene non sappiate che siete i suoi eredi; ché, se lo sapeste, oh, che ne seguirebbe!
4° Citt. Leggete il testamento; vogliamo udirlo, Antonio; dovete leggerci il testamento, il testamento di Cesare.
Ant. Volete pazientare? Volete attendere un poco? Ho sorpassato il segno nel parlarvene. Temo di far torto agli uomini d’onore i cui pugnali hanno trafitto Cesare; invero, lo temo.
4° Citt. Erano traditori: che uomini d’onore!
I Citt. Il testamento! Il testamento!
2° Citt. Erano canaglie, assassini: il testamento! Leggete il testamento!
Ant. M’obbligate dunque a leggere il testamento? E allora fate cerchio attorno al corpo di Cesare e lasciate che io vi mostri colui che fece il testamento. Debbo scendere? E me lo permettete?
I Citt. Venite giù!
2° Citt. Scendete.
3° Citt. Avrete il permesso.
Antonio scende.
4° Citt. In cerchio; state intorno.
1° Citt. Lontani dalla bara; lontani dal corpo.
2° Citt. Fate posto ad Antonio, al nobilissimo Antonio.
Ant. No, non vi affollate intorno a me; state lontani.
I Citt. State indietro! Posto! Andate indietro!
Ant. Se avete lacrime, preparatevi a spargerle adesso. Tutti conoscete questo mantello: io ricordo la prima volta che Cesare lo indossò; era una serata estiva, nella sua tenda, il giorno in cui sconfisse i Nervii: guardate, qui il pugnale di Cassio l’ha trapassato: mirate lo strappo che Casca nel suo odio vi ha fatto: attraverso questo il ben amato Bruto l’ha trafitto; e quando tirò fuori il maledetto acciaio, guardate come il sangue di Cesare lo seguì, quasi si precipitasse fuori di casa per assicurarsi se fosse o no Bruto che così rudemente bussava; perché Bruto, come sapete, era l’angelo di Cesare: giudicate, o dèi, quanto caramente Cesare lo amava! Questo fu il più crudele colpo di tutti, perché quando il nobile Cesare lo vide che feriva, l’ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, completamente lo sopraffece: allora si spezzò il suo gran cuore; e, nascondendo il volto nel mantello, proprio alla base della statua di Pompeo, che tutto il tempo s’irrorava di sangue, il gran Cesare cadde. Oh, qual caduta fu quella, miei compatriotti! Allora io e voi, e tutti noi cademmo, mentre il sanguinoso tradimento trionfava sopra di noi. Oh, ora voi piangete; e, m’accorgo, voi sentite il morso della pietà: queste son generose gocce. Anime gentili, come? piangete quando non vedete ferita che la veste di Cesare? Guardate qui, eccolo lui stesso, straziato, come vedete, dai traditori.
1° Citt. O pietoso spettacolo!
2° Citt. O nobile Cesare!
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shakespeare enrico V
Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l'esercito che chi non si sente l'animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio. Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte. Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravviverà quest'oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano. Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: "Domani è San Crispino"; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: "Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino". Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno. Questa storia ogni brav'uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest'oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi. Noi felici, pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino! (Enrico: Atto IV, scena III)
La ballata degli impiccati
Fratelli umani che dopo noi vivete,
non abbiate con noi i cuori induriti,
perché se avete pietà di noi, poveri,
Dio avrà più presto pietà di voi.
Voi ci vedete qui, in cinque, sei, appesi:
quanto alla nostra carne, troppo nutrita,
dopo molto tempo è divorata e putrida,
fino all'osso, siam polvere e cenere.
Della nostra sventura, nessun si rallegri,
ma pregate Dio che tutti noi assolva!
Se noi vi chiamiamo fratelli, non dovete
averne sdegno, anche se siamo uccisi
dalla giustizia. Tuttavia voi sapete
che animo turbolento hanno gli uomini.
Perdonateci, perché siamo trapassati,
verso il figlio della Vergine Maria,
ché la sua grazia non ci sia arida,
e ci preservi dalle fiamme infernali.
Siamo morti, nessuno ci tormenti,
ma pregate Dio che tutti noi assolva!
La pioggia ci ha lavati abbastanza
e il sole ci ha anneriti e seccati;
Gazze, corvi ci hanno gli occhi scavati,
e strappata la barba e le sopracciglia.
Mai un solo istante restiamo seduti;
di qua e di là, come fa il vento soffiando,
a suo agio, senza tregua siam sballottati
più becchettati dagli uccelli che ditali da cucito
Non siate della nostra confraternita
ma pregate Dio che tutti noi assolva!
Principe Gesù che hai potere su tutti,
fa che l'inferno in potere non ci abbia:
non avendo nulla a che spartire con lui.
Uomini, adesso, non derideteci,
ma pregate Dio che tutti noi assolva.
François Villon 1431 o 1432 – dopo il 1463
La ballata delle dame del tempo che fu
Ditemi dove, in quali rive,
è Flora la bella romana,
dov'è Archipiade, e Taide,
che le fu cugina germana?
Eco parlante quando vaga
un frastuono su fiume o stagno,
che bellezza ebbe più che umana?
Ma ove sono le nevi dell'anno passato?
Dov'è la sapiente Eloisa,
per cui, castrato, il saio prese
Pietro Abelardo di San Dionigi?
Per amore subì tali offese.
La regina dov'è che ha ordinato
che dentro un sacco Buridano
nella Senna fosse gettato?
Ma ove sono le nevi dell'anno passato?
E Bianca al giglio somigliante,
regina dal canto di sirena,
Bice, Alice, Berta piè-grande,
Aremburgi che il Maine teneva,
Giovanna la buona di Lorena,
dagli Inglesi bruciata a Rouen;
dove son, dove, Vergine suprema?
Ma ove sono le nevi dell'anno passato?
François Villon
Il cuore che ride
La tua vita è la tua vita.
Non lasciare che le batoste la sbattano nella cantina dell’arrendevolezza.
Stai in guardia.
Ci sono delle uscite.
Da qualche parte c’è luce.
Forse non sarà una gran luce ma la vince sulle tenebre.
Stai in guardia.
Gli dei ti offriranno delle occasioni.
Riconoscile, afferrale.
Non puoi sconfiggere la morte ma puoi sconfiggere la morte in vita, qualche volta.
E più impari a farlo di frequente, più luce ci sarà.
La tua vita è la tua vita.
Sappilo finché ce l’hai.
Tu sei meraviglioso gli dei aspettano di compiacersi in te.
Charles Bukowski
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no…
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi
RESISTENZA
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Piero Calamandrei
Salpando verso Bisanzio
I
Questo non è un paese per i vecchi. I giovani
abbracciati, gli uccelli sugli alberi,
generazioni morenti che cantano,
cascate di salmoni e mari affollati di sgombri,
pesce, carne, volatili lodano per tutta l’estate
qualunque cosa si generi, per nascita o morte.
Presi in questa musica dei sensi tutti trascurano
monumenti di pensieri senza tempo.
II
Un vecchio non è che una misera cosa,
un abito stracciato su una canna,
se l’anima non batte le mani e canta, e canta più alto
per ogni strappo nel suo vestito mortale,
e non c’è scuola di canto che non sia indagare
i monumenti della nostra gloria:
così io feci vela sul mare e venni
alla sacra città di Bisanzio.
III
Voi, saggi, fissi nel sacro fuoco di Dio,
come incastonati in un mosaico d’oro,
uscite roteando dal sacro fuoco,
insegnate alla mia anima il canto.
Consumate il mio cuore, che malato di voglia,
e avvinto a un animale morituro
non conosce se stesso, e accoglietemi
nell’artificio dell’eternità.
IV
Una volta fuori dalla natura io non potrò riassumere
da cose naturali la mia forma corporea,
ma una forma d’oro battuto e foglia d’oro
che sbalzano i fabbri greci, a tenere
sveglio un sovrano sonnolento,
o immobile su un ramo d’oro a cantare
ai signori e alle dame di Bisanzio
ciò che è passato, o sta passando, o verrà.
W. B. Yeats
Monologo del naso
da Cirano de Bergerac di Edmond Rostand 1868-1918
VALVERT: Nessuno? State a vedere! Vado a cantargliene quattro! (Avanza verso Cirano, che l'osserva, e si pianta davanti a lui con aria fatua). Voi... voi avete un naso... ecco... un naso... molto grande.
CIRANO (con aria grave): Sì, molto.
VALVERT (ridendo): Ecco!
CIRANO (imperturbabile): Tutto qui?
VALVERT: Ma...
CIRANO: Eh, no! E' un po' poco, ragazzo mio! Ce n'erano di cose da dire sul mio naso - diamine! - e di toni da sfoggiare! Per esempio, vediamo:
Aggressivo: «Io, signore, se avessi un naso simile, me lo farei tagliare!».
Amichevole: «Certo che quando bevete vi si immerge nel bicchiere! Fatevene fabbricare uno su misura!».
Descrittivo: «E una montagna, un picco, un promontorio!... Ma che dico, un promontorio? E una penisola!».
Curioso: «A che vi serve questo affare smisurato? Da scrittoio signore, o da scatola da lavoro?».
Grazioso: «Amate a tal punto gli uccelli che paternamente voleste preoccuparvi di offrire un trespolo alle loro zampette?».
Truculento: «Ditemi, signore, quando fumate, il naso vi fa da cappa del camino? E i vicini non gridano al fuoco?».
Previdente: «Fate attenzione, con tutto questo peso voi potreste cadere faccia per terra!». Tenero: «Metteteci sopra un parasole che gli preservi quel suo bel colore!».
Pedante: «Pare che l'animale che Aristotele chiama ippocampelefantocammello pesasse quanto il vostro naso!».
Cavalleresco: «Cos'è quest'uncino, una nuova moda? Comodo per appenderci il cappello!». Enfatico: «Che naso! Nessun vento può fargli venire il raffreddore ad eccezione del maestrale!».
Drammatico: «Quando sanguina, sembra il Mar Rosso!»
Ammirato: «Che splendida insegna per un profumiere!».
Lirico: «E' una conca. Potreste farci il bagno!».
Semplice: «Quando si può visitare il monumento?».
Rispettoso: «Certo che voi ne possedete di beni al sole!».
Ruspante: «E che è un naso questo? Andiamo! O è un rafano gigante o un melone nano!». Militare: «Puntate!».
Pratico: «Giocatevelo al lotto. E' una bella puntata!».
Oppure, facendo il verso alla tragedia greca, piangendo: «Ecco il naso che ha distrutto l'armonia di questo viso! Guardatelo, il traditore! Ne arrossisce di vergogna!». Ecco quante cose, mio caro, avresti potuto dirmi se solo avessi un briciolo di cultura o di spirito. Ma di spirito, tristissimo individuo, tu non ne possiedi un atomo. Quanto alla cultura, poi non ne hai abbastanza da mettere insieme più di sette lettere quelle che formano la parola cretino! Comunque, quand'anche tu avessi avuto tanta immaginazione da potermi dedicare tutti questi epiteti alla presenza del nostro nobile pubblico, non avresti avuto il tempo di pronunciarne uno solo, poiché certe cose me le dico da me - con molta disinvoltura, bisogna riconoscere - ma non permetto a nessun altro di dirmele.
II PCI ai giovani!!
È triste. La polemica contro
il PCI andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, figli.
E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati...
Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio
delle Università) il culo. Io no, amici.
Avete facce di figli di papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete paurosi, incerti, disperati
(benissimo) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori e sicuri:
prerogative piccoloborghesi, amici.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti!
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera,
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli, la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida che puzza di rancio
fureria e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
e lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in una esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, amici. Pier Paolo Pasolini 1922 – 1975
Nella stradina sotto la mia finestra gli studenti urlavano e sbattevano. Le vetrate dei negozi parvero indietreggiare, rabbrividire un attimo e poi abbandonare il fantasma, quando i riflessi le abbandonarono all’improvviso e scivolarono a terra in frammenti frastagliati. Le auto si alzarono in aria e atterrarono su un fianco, il loro succo scorreva da ferite invisibili. L’aria era piena di grida trionfanti, mentre uno ad uno lampioni e bitte venivano sradicati e ammucchiati sull’asfalto, per formare una barricata contro il prossimo furgone di poliziotti. Il furgone, noto allora come panier de salade per via della rete metallica che copriva i finestrini, svoltò cautamente l’angolo da rue Descartes, si fermò di scatto e sboccò una ventina di poliziotti spaventati. Furono accolti da ciottoli volanti e molti di loro caddero. Uno rotolò a terra stringendosi il viso, da cui il sangue scorreva attraverso le dita strettamente serrate. Ci fu un grido di esultanza, il poliziotto ferito fu aiutato a salire sul furgone e gli studenti corsero lungo una strada laterale, schernendo i cochons e lanciando ciottoli partici mentre procedevano.
Quella sera passò un’amica: era stata tutto il giorno sulle barricate con una troupe di teatro, sotto il capitano di Armand Gatti. Era molto eccitata dagli eventi che Gatti, un seguace di Antonin Artaud, le aveva insegnato a considerare come il culmine del teatro situazionista: la trasfigurazione artistica di un’assurdità che è il significato quotidiano della vita borghese. Grandi vittorie erano state ottenute: poliziotti feriti, auto incendiate, slogan scanditi, graffiti imbrattati. La borghesia era in fuga e presto il vecchio fascista e il suo regime avrebbero implorato pietà. Il vecchio fascista era de Gaulle..Roger Scruton 1944 – 2020
ode al gatto
Gli animali furono imperfetti,
lunghi di coda,
plumbei di testa.
Piano piano si misero in ordine,
divennero paesaggio,
acquistarono nèi, grazia, volo.
Il gatto,
soltanto il gatto
apparve completo
e orgoglioso: nacque completamente rifinito,
cammina solo e sa quello che vuole.
L’uomo vuol essere pesce e uccello,
il serpente vorrebbe avere le ali,
il cane è un leone spaesato,
l’ingegnere vuol essere poeta,
la mosca studia per rondine,
il poeta cerca di imitare la mosca,
ma il gatto
vuole essere solo gatto
ed ogni gatto è gatto
dai baffi alla coda,
dal fiuto al topo vivo,
dalla notte fino ai suoi occhi d’oro.
Non c’è unità
come la sua,
non hanno
la luna o il fiore
una tale coesione:
è una sola cosa
come il sole o il topazio,
e l’elastica linea del suo corpo,
salda e sottile, è come
la linea della prua di una nave.
I suoi occhi gialli
hanno lasciato una sola fessura
per gettarvi le monete della notte.
Oh piccolo
imperatore senz’orbe,
conquistatore senza patria,
minima tigre da salotto,
nuziale sultano del cielo
delle tegole erotiche,
il vento dell’amore
all’aria aperta
reclami
quando passi
e posi
quattro piedi delicati
sul suolo,
fiutando,
diffidando
di ogni cosa terrestre,
perché tutto è immondo
per l’immacolato piede del gatto.
Oh fiera indipendente della casa,
arrogante vestigio della notte,
neghittoso, ginnastico
ed estraneo,
profondissimo gatto,
poliziotto segreto
delle stanze,
insegna
di un irreperibile velluto,
probabilmente non c’è enigma
nel tuo contegno,
forse sei mistero,
tutti sanno di te ed appartieni
all’abitante meno misterioso,
forse tutti si credono padroni,
proprietari, parenti
di gatti, compagni, colleghi,
discepoli o amici
del proprio gatto.
Io no.
Io non sono d’accordo.
Io non conosco il gatto.
So tutto, la vita e il suo arcipelago,
il mare e la città incalcolabile,
la botanica,
il gineceo coi suoi peccati,
il per e il meno della matematica,
gl’imbuti vulcanici del mondo,
il guscio irreale del coccodrillo,
la bontà ignorata del pompiere,
l’atavismo azzurro del sacerdote,
ma non riesco a decifrare il gatto.
Sul suo distacco la ragione slitta,
numeri d’oro stanno nei suoi occhi.
Pablo Neruda 1904-1973
Lo Spleen di Parigi.
Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.»
Charles Baudelaire